Centro Astalli - JRS - Servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia

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La lezione dei giochi paraolimpici

Si celebrano in questi giorni a Rio i giochi paraolimpici, una manifestazione straordinaria perché atleti con disabilità provenienti da tutto il mondo affrontano con coraggio 23 discipline sportive. Quest'anno, come era già stato per i giochi olimpici, c'è anche una delegazione di rifugiati, due atleti che gareggiano sotto la bandiera dell'Alto Commissariato per le Nazioni Unite per i Rifugiati. Per il Centro Astalli la manifestazione poi offre anche motivo di ulteriore interesse perché un operatore accompagna, come allenatore, una ragazza che gareggerà.
Ritengo che i giochi paraolimpici siano una manifestazione la cui portata culturale supera di gran lunga quella propriamente sportiva perché a essere messa in discussione è quella idea di normalità che ci accompagna e ci spinge a tracciare linee di demarcazione che sempre escludono qualcuno. All'interno di questa ipotetica linea ti senti al sicuro, come lo sei quando tracci un confine che delimita una proprietà, uno stato, perché all'interno ci sono quelle persone che tu ritieni, o il senso comune ritiene, assimilabili a un prototipo di normalità, simili al maggior numero, simili a te. Ma se invece il criterio diventasse: stiamo insieme non perché simili, non perché abbiamo qualche elemento identitario che ci unisce, ma piuttosto perché siamo donne e uomini accomunati dal senso di umanità che ci appartiene? Se il luogo esistenziale del nostro limite, della nostra disabilità, della nostra diversità sessuale, culturale, etnica e religiosa non fosse il problema, ma il luogo vero dell'incontro? Se ci avvicinassimo nel limite e nella diversità e non nella normalità omologante e escludente, il mondo sarebbe altro, perché ricco nella biodiversità. Non staremmo a difendere identità e confini ma cercheremmo di incontrarci per arricchirci. Oggi al contrario il problema si pone quando sei considerato diverso, se rientri o meno nelle code di quella Gaussiana che racchiude il maggior numero. I giochi paraolimpici mi sembra invece che ci facciano vivere un mondo altro dove la diversità, portata all'estremo perché disabilità fisica o psichica nel mondo dello sport, diventa luogo stesso per ripensare il mondo. E la presenza di rifugiati enfatizza ancora di più questo aspetto perché si tratta di uomini e donne diversamente abili che hanno dovuto attraversare ostacoli, limiti, confini in cerca di una nuova patria. Si mette così in discussione il concetto stesso di cittadinanza non vincolato a uno Stato nazione ma al mondo che diventa patria dei diritti di tutti nelle diversità di ciascuno accomunati dall'essere umani.

Camillo Ripamonti sj

centroastalli.it/