Rousseau e il M5S (II parte) - L'umano nella città

Rousseau e il M5S (II parte) - L'umano nella città

ROUSSEAU E IL M5S (II PARTE)
9 GIUGNO 2017 0

Quella di Rousseau è stata un’esistenza che ha interpretato il mondo senza mai trovare pace; ma proprio la ricerca di un senso da dare all’esistenza e alla storia dell’uomo ha reso i suoi scritti geniali. Alcune tappe della sua biografia aiutano a scoprirlo.

Partiamo dall’ultima contraddizione che ha coinvolto la sua figura. Dopo la sua morte (3 luglio 1778) a Ermenonville, cittadina di campagna a una cinquantina di chilometri da Parigi, avrebbe voluto riposare nell’«isola dei Pioppi», in mezzo alla «sua» natura. Ma sedici anni dopo, l’11 ottobre 1794, al termine di una veglia funebre durata una notte intera, la sua salma è stata posta nella cripta del Pantheon di Parigi davanti a quella del suo rivale Voltaire. Si tratta dell’«omaggio della rivoluzione francese ad uno dei suoi più antichi precursori»[1].

È l’epilogo di una esistenza segnata dal dolore e dalla difficoltà di trovare un senso, che caratterizzarono i suoi primi anni. Figlio di Isac, orologiaio, e di Susan Bernard, deceduta subito dopo il parto, Rousseau trascorre un’infanzia complicata. In seguito alla partenza definitiva del padre da Ginevra, avvenuta nel 1722 per sfuggire all’accusa di aver aggredito un capitano dell’esercito sabaudo, viene messo sotto la tutela dello zio materno Gabriel Bernard che, incaricato della sua educazione, lo affida al pastore evangelico Lambercier di Bossey.

A 16 anni, fugge da Ginevra dove stava imparando l’arte dell’incisione. Trova rifugio nella Savoia da madame Louise E. de Warens, una vedova svizzera che prima gli farà da madre e poi diventerà la sua amante. Dopo alcuni di viaggi (Torino — dove si converte al cattolicesimo — Friburgo, Losanna e Parigi) si stabilisce a Lione dove lavora come precettore nella famiglia Mably.
Nel 1743 si trasferisce a Venezia per diventare il segretario di Montaigu, ambasciatore del re di Francia, ma l’anno successivo ritorna a Parigi e conosce Voltaire, con cui avrà sempre un rapporto conflittuale, e Thérèse Levasseur, una cameriera dell’Hotel Saint-Quentin che sposerà poco prima di morire soltanto per ricambiarla, come da lui stesso affermato nelle Confessioni, delle premurose cure, ma non perché ne fosse innamorato.
Da Thérèse aveva avuto cinque figli, tutti lasciati all’ospizio dei trovatelli. Un gesto che Rousseau ha sempre rimpianto e di cui cercherà di giustificarsi durante tutta la vita: «Più d’una volta, da quel tempo, i rimpianti del mio cuore mi insegnarono che mi ero sbagliato. Ma, siccome la ragione non è stata mai dello stesso parere, spesso ho benedetto il cielo di avere, in quel modo, scongiurato ad essi la sorte di loro padre, e quella che li minacciava quando sarei stato costretto ad abbandonarli»[2].

(“Tutti, schiavi e vittime dell’amor proprio, non vivono per vivere, ma per far credere di aver vissuto” Jean-Jacque Rousseau 1712-1778)

In questi anni si mantiene trascrivendo spartiti musicali. Tra il gennaio e il marzo 1749 redige per incarico di d’Alembert gli articoli sulla musica per l’Enciclopedia. Nell’estate dello stesso anno, quando ha già 37 anni ed è ancora sconosciuto, una sorta di illuminazione gli cambia la vita.
Mentre è in viaggio per andare a trovare Diderot, incarcerato nel castello di Vincennes, lungo la strada ripercorre mentalmente la storia dell’umanità, riflette sulle conseguenze del lusso, della ricchezza e sulla rovina che si può abbattere sul genere umano a causa della corruzione delle scienze e delle arti. Camminando, vede disvelarsi la traccia della sua futura opera.

Entusiasta ne parla con Diderot, che lo convince a mettere per iscritto le sue idee, pur non condividendole. Il Discorso sulle scienze e sulle arti viene così presentato a un concorso bandito dall’Accademia di Digione e vince il primo premio nel 1750. Si accorge, però, di iniziare a vivere la contraddizione che denuncia come vero male.
Poco tempo dopo si pente ritenendo il suo primo scritto la causa dei suoi mali, «un caso disgraziato» lo definisce, da cui hanno origine tutti i suoi problemi: scrivendo entra in polemica con altri, diventa famoso lui stesso per essere entrato nel mondo delle cultura e delle arti che avrebbe voluto condannare.

Aveva però chiaro un aspetto: “Il denaro che si possiede è strumento di libertà; quello che si insegue è strumento di schiavitù.“

Vive una tensione: si esibisce con la sua penna e cede ad alcuni comportamenti sregolati, da lui definiti «strane manovre»[3], che gli provocano però costanti sensi di colpa[4]. A Torino si apre i vestiti e si mostra nudo, così come studia forme di esibizionismo capaci di commuovere il pubblico femminile con alcune opere teatrali. Allo stesso modo anche a Ginevra si esibiva davanti alla lavandaie che tornavano dal lavoro.

La sua prima opera fa dunque emergere un modo di pensare che assomiglia più a quello di un pittore impressionista ante litteram che a quello di un architetto; le sue idee sono quasi sempre frutto di intuizioni, che buona parte della critica letteraria definisce come veri e propri momenti di estasi.

Nel 1754 ritorna nella sua Ginevra, dove viene festeggiato e osannato come un personaggio illustre. Nello stesso anno passa di nuovo dal cattolicesimo al calvinismo e scrive il secondo Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini nel quale pone le basi del suo pensiero filosofico e politico.
Nell’aprile 1756 si ritira all’Ermitage presso Montmorency, dove rimane fino al 1762. Sono questi gli anni in cui scrive e pubblica le sue principali opere: la Nuova Eloisa (1761), l’Emilio (1762), il Contratto sociale (1762).

Le sue pagine non lasciano indifferenti intellettuali e politici. A causa del capitolo sulla professione di fede del vicario Savoiardo, l’Emilio viene condannata dalla Chiesa e dal Parlamento francese; mentre il Concistoro di Ginevra condanna il Contratto sociale.
Nel 1766, per invito di Hume, decide di andare in Inghilterra, ma, a causa delle manie di persecuzione che lo affliggono e degli scontri con il filosofo scozzese, fa ritorno a Parigi, dove conclude le Considerazioni sul governo di Polonia.
Qualche anno più tardi, nel 1770, termina il suo principale testo autobiografico, le Confessioni. Ormai stanco e ammalato, nel 1778 compie l’ultimo viaggio: accetta l’ospitalità del marchese René de Girandin a Ermenonville dove muore.

…segue.

[1] «Rousseau», in Enciclopedia italiana di scienze, lettere e arti, Milano, Rizzoli, 1936, 185.
[2] J.-J. Rousseau (1770), Les Confessions, tr. it. di M. Rago, «Le Confessioni», in Scritti autobiografici, a cura di L. Sozzi, Torino, Einaudi-Gallimard, 1997, 351.
[3] Ivi, 87.
[4] Nelle Confessioni, emerge l’aspetto esibizionistico della sua personalità.

BY OCCHETTA.F

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