Papa Francesco, dieci anni di viaggio con migranti e rifugiati | La Civiltà Cattolica

«Ognuno di voi, cari amici, porta una storia di vita che ci parla di drammi di guerre, di conflitti, spesso legati alle politiche internazionali. Ma ognuno di voi porta soprattutto una ricchezza umana e religiosa, una ricchezza da accogliere, non da temere. Molti di voi siete musulmani, di altre religioni; venite da vari Paesi, da situazioni diverse. Non dobbiamo avere paura delle differenze! La fraternità ci fa scoprire che sono una ricchezza, un dono per tutti! Viviamo la fraternità!»[1]. Con queste parole papa Francesco, nella mensa del Centro Astalli, si rivolgeva ai profughi nel 2013. Il Centro Astalli è il Servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia e uno dei progetti che l’allora Preposito generale dei gesuiti, p. Pedro Arrupe, avviò nei primi anni Ottanta.

Nello stesso incontro, Carol, una rifugiata siriana appena arrivata in Italia, spiegava: «I siriani in Europa avvertono la grande responsabilità di non essere un peso. Vogliamo sentirci parte attiva di una nuova società. Vogliamo offrire il nostro aiuto, il nostro bagaglio di competenze e conoscenze, la nostra cultura nella costruzione di società più giuste e accoglienti nei confronti di chi, come noi, è in fuga da guerre e persecuzioni. Noi adulti possiamo sopportare ancora altro dolore, se questo serve a garantire un futuro di pace ai nostri figli. Chiediamo per loro la possibilità di andare a scuola e crescere in contesti di pace».

Durante tutto il suo pontificato, papa Francesco ha mostrato e predicato un Dio di giustizia e misericordia. Ha messo al centro dell’attenzione le difficoltà che migranti e rifugiati devono affrontare in tutto il mondo, e lo ha fatto non solo a parole, ma anche con le azioni. Ne è un esempio recente la sua visita, nel febbraio 2023, nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, dove ha incontrato i leader delle comunità e gli sfollati.

Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2018, intitolato «Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace», Francesco chiedeva, nel suo tipico modo diretto: «Perché così tanti rifugiati e migranti?», e ricordava come diversi anni prima san Giovanni Paolo II avesse additato «il crescente numero di profughi tra le conseguenze di “una interminabile e orrenda sequela di guerre, di conflitti, di genocidi, di “pulizie etniche”»[2]. Constatava inoltre come, dal momento che gli esseri umani hanno il desiderio naturale di una vita migliore, anche la povertà e il degrado ambientale siano fattori che spingono a migrare.

Questo accento posto sulla giustizia sociale è profondamente cristocentrico. Francesco non ignora in alcun modo l’opera o l’apporto teologico dei suoi immediati predecessori – san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI –, che nei loro pontificati hanno dato contributi importanti e duraturi alla teologia cattolica, in particolare per quanto riguarda la dottrina sociale. Di fatto, essi hanno posto gran parte delle basi teologiche di cui Francesco si è valso in questi anni per continuarne l’opera. Per esempio, nel messaggio che abbiamo già citato, egli si ispirava alle parole di san Giovanni Paolo II: «Se il “sogno” di un mondo in pace è condiviso da tanti, se si valorizza l’apporto dei migranti e dei rifugiati, l’umanità può divenire sempre più famiglia di tutti e la nostra terra una reale “casa comune”»[3].

Purtroppo, negli ultimi anni, a causa del marcato aumento di conflitti e di altri fattori aggravanti come il cambiamento climatico, molti Paesi e popolazioni si sono trovati sopraffatti dal numero di persone in cerca di pace e sicurezza ai loro confini. In alcuni casi, questo ha portato a un clima di paura e ha generato un senso di autoconservazione, nonché una conseguente politica di esclusione dei migranti dai confini nazionali. Così facendo i cuori e le menti si sono chiusi alla realtà delle speranze, delle paure e delle aspirazioni di persone tra le più bisognose del mondo. A noi che viviamo nel benessere e nella sicurezza Francesco suggerisce di ascoltare le loro storie e di cogliere il quadro completo del loro viaggio. Negli anni del suo pontificato, il Papa ha costantemente mantenuto questo impegno e ha espresso in modo chiaro e radicale la visione di un approccio alternativo e più umano alle sfide della migrazione involontaria.

Lampedusa, luglio 2013: la globalizzazione dell’indifferenza

Francesco ha detto a Lampedusa: «Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza»[4].

Nel primo viaggio del suo pontificato, nel luglio 2013, il Papa è giunto in barca all’isola di Lampedusa, che si trova al largo della costa meridionale della Sicilia. La tempestività e il contesto della sua visita sono stati significativi. La Libia era sconvolta dalla violenza e dall’instabilità. Gli africani più poveri, che in precedenza, ai tempi dell’espansione economica di Gheddafi, vi avevano cercato lavoro, ora guardavano altrove, e in particolare all’altra sponda del mare. A Lampedusa Francesco celebrò una Messa per commemorare le migliaia di migranti morti mentre attraversavano il Mediterraneo. Pronunciò anche un’omelia destinata a restare celebre, in cui spiegava di essersi sentito spinto a recarsi in quell’isola per «compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore!». Si soffermò anche sulle prime domande che Dio pone all’uomo nella Scrittura: «“Adamo, dove sei?”: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. “Dove sei Adamo?”. E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia, e questo si ripete anche nella relazione con l’altro, che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere».

Francesco ha fatto riferimento più volte al racconto di Caino e Abele, anche nella lettera enciclica Laudato si’ (LS) del 2015, dedicata all’ecologia integrale. «Tanti di noi – ha affermato ai migranti che lo ascoltavano a Lampedusa – siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri». Per il Papa, «quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito […]. Siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza»[5].

La riflessione di Lampedusa rivela come la risposta del Papa alla concreta tragedia umana abbia preso le mosse da un gesto accorato, radicato nei princìpi biblici e nella dottrina sociale cattolica, per poi svilupparsi man mano che assorbiva le esperienze vissute degli altri e attingeva a un ampio ventaglio di fonti. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG), Francesco racconterà poi che «i migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura» (EG 210). L’insegnamento giudaico-cristiano, secondo il quale la terra non è la destinazione finale dell’umanità, sta a indicare che la fede cattolica è per essenza migratoria: siamo tutti migranti, «di passaggio».

Tra i contributi significativi di Francesco sulla questione dei migranti c’è stato il suo modo di affrontarla: i reiterati «viaggi personali» con migranti e rifugiati; i «gesti di vicinanza», vedere, ascoltare, accogliere; proteggere; assistere e integrare; cercare soluzioni a lungo termine. Il Papa si è ispirato alle parole di Gesù: «Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro» (Lc 6,31). Nell’Evangelii gaudium spiega così questo criterio: «La realtà è superiore all’idea. […] Il criterio di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione. […] Questo criterio ci spinge a mettere in pratica la Parola, a realizzare opere di giustizia e carità nelle quali tale Parola sia feconda. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea» (EG 233).

L’attuale pontificato si svolge in coincidenza con il verificarsi del più alto numero globale di sfollati dalla fine della Seconda guerra mondiale, ossia di quella che molti hanno definito una «crisi dei rifugiati». Ma il termine suona problematico. Sembrerebbe implicare, in primo luogo, che gli sfollati in cerca di rifugio siano la causa della loro stessa fuga. Ma non è così. L’enciclica Laudato si’ (LS) sottolinea la preponderanza dei migranti in fuga per la miseria provocata dal clima o dalle guerre. È interessante notare come papa Francesco abbia brillantemente spostato l’accento, insistendo sul fatto che dovremmo riconoscere quella attuale come una «crisi della solidarietà». Il suo discorso a Lampedusa ha gettato il seme del suo insegnamento sulla «globalizzazione dell’indifferenza», ossia sull’insensibilità con cui gli individui e le comunità trattano le persone emarginate. Occorre una conversione, ma da dove cominciare? Proprio da noi stessi. Parafrasando quanto Francesco ha affermato a Lampedusa, dobbiamo cominciare da noi che «ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, da noi «che pensiamo a noi stessi», da noi che siamo «insensibili alle grida degli altri». Questo insegnamento, crediamo, invita fondamentalmente ciascuno di noi a riflettere su di sé e a sperimentare una metanoia, una conversione che richiederà risposte positive e umane agli spostamenti disperati di tante persone. È una conversione del cuore.

Lesbo, aprile 2016: la cultura dell’incontro

I grandi flussi di rifugiati, principalmente siriani e afgani, giunti in Europa nel 2015 e nel 2016 hanno indotto papa Francesco a visitare, il 16 aprile 2016, il campo profughi di Moria, nell’isola greca di Lesbo. Questa volta egli ha scelto un approccio ecumenico, presentandosi insieme a Sua Beatitudine Ieronymos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, e a Sua Santità Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli. Si proponeva di dare avvio a un movimento mondiale di consapevolezza per cambiare il tragico corso degli eventi, per mettere sull’avviso quanti hanno in mano il destino delle nazioni. Egli si è rivolto così ai rifugiati e ai migranti riuniti: «Sono venuto qui con i miei fratelli, il Patriarca Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos, semplicemente per stare con voi e per ascoltare le vostre storie. Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità»[6].

Come era già avvenuto in occasione della sua visita a Lampedusa, lo sviluppo del pensiero di Francesco sui migranti, sui rifugiati e sulla tratta di esseri umani scaturisce da incontri concreti. A Lesbo il Papa ha affrontato direttamente il grave rischio dell’indifferenza e dello sfruttamento, ma ha anche sottolineato la gentilezza e la bontà – di cui spesso non si sa nulla – che molte persone mostrano quando incontrano migranti che si trovano in una situazione disperata. Paragonando un tale incontro a un tesoro nascosto, Francesco scava ulteriormente, per ricavarne l’idea della «cultura dell’incontro»: «Tutti sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne la vulnerabilità. Ma sappiamo anche che queste crisi possono far emergere il meglio di noi. Lo avete visto in voi stessi e nel popolo greco, che ha generosamente risposto ai vostri bisogni pur in mezzo alle sue stesse difficoltà. Lo avete visto anche nelle molte persone, specialmente giovani, provenienti da tutta l’Europa e dal mondo, che sono venute per aiutarvi»[7].

Il campo di Moria è stato incendiato nel 2020 da alcuni rifugiati che vi risiedevano, nel disperato tentativo di attirare l’attenzione della comunità internazionale sulle loro terribili condizioni di vita, sulla loro realtà senza speranza. Si è trattato di un segno – uno fra molti altri – del fatto che non c’è ancora la capacità globale di gestire le migrazioni. Nel suo discorso al primo ministro, alle autorità greche e alla comunità cattolica in Grecia, il Papa sollevava la questione più urgente di dare una soluzione alla migrazione, cioè affrontarne le cause profonde: «Per essere veramente solidali con chi è costretto a fuggire dalla propria terra, bisogna lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà: non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali. Prima di tutto è necessario costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove. Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza. Va invece promossa senza stancarsi la collaborazione tra i Paesi, le Organizzazioni internazionali e le istituzioni umanitarie, non isolando ma sostenendo chi fronteggia l’emergenza»[8].

La «Sezione migranti e rifugiati»

Subito dopo la visita a Lesbo, Francesco ha creato la «Sezione migranti e rifugiati» («Sezione M&R»), confluita, nel gennaio 2023, nel Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. Questo è stato istituito per essere «particolarmente competente nelle questioni che riguardano le migrazioni, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura»[9]. Posta sotto la guida diretta del Papa, la Sezione M&R si è dedicata a metterne in atto la visione: «A Lampedusa e Lesbo, principali soglie di transito in Italia e in Grecia, papa Francesco ha pianto con i migranti e i profughi che vi erano accalcati. Sull’aereo di ritorno da Lesbo, ha portato con sé alcune famiglie di profughi siriani, invitandole ad andare ad abitare in Vaticano. “Ricordiamo che curando le ferite dei rifugiati, degli sfollati e delle vittime dei traffici mettiamo in pratica il comandamento della carità che Gesù ci ha lasciato […]: la loro carne è la carne di Cristo”[10]. Il Papa vuole che la Sezione M&R aiuti altri a dire e a fare in tutto il mondo ciò che egli insegna e fa in prima persona»[11].

Da allora la missione della Sezione M&R è stata quella di assistere la Chiesa – cioè i vescovi, i fedeli, il clero, le organizzazioni ecclesiali – e ogni persona di buona volontà nell’«accompagnare» coloro che sono in partenza e in fuga, che sono in transito o in attesa, che arrivano e cercano di integrarsi, e quelli che fanno ritorno ai Paesi di origine. Tra i suoi principali risultati si annovera l’aiuto prestato per coltivare e far crescere i semi piantati dal Papa nel suo intervento a Lampedusa. La Sezione si è particolarmente impegnata nell’approfondire le basi teologiche e intellettuali per un approccio cattolico più chiaro al fenomeno della migrazione umana. Nel 2020, con il titolo Luci sulle strade della speranza, ha pubblicato una voluminosa raccolta di insegnamenti di papa Francesco sulla pastorale dei migranti, dei rifugiati e delle vittime della tratta. A un livello più pratico, la Sezione si è impegnata nel realizzare i Venti Punti di Azione, proposti dalla Santa Sede per i Global Compacts sui migranti e sui rifugiati, così come gli Orientamenti pastorali sulla tratta di persone.

Un programma per gli Stati e per la società civile

Come avevano già fatto i suoi predecessori, anche papa Francesco ha attinto a elementi fondamentali della fede cristiana e della dottrina sociale cattolica per sviluppare una visione chiara di un approccio alternativo e più umano alle sfide della migrazione forzata.

Nel febbraio 2017, è intervenuto all’incontro del Forum internazionale «Migrazione e pace», che si è svolto a Roma. In quella occasione ha dichiarato che la risposta alle sfide delle migrazioni contemporanee dovrebbe essere data insieme dalla comunità politica, dalla società civile e dalla Chiesa, e andrebbe articolata in quattro azioni correlate: accogliere, proteggere, promuovere e integrare[12].

La Sezione M&R ha successivamente pubblicato i già citati Venti Punti di Azione, come contributo al processo di stesura, negoziazione e adozione dei Global Compacts sui migranti e sui rifugiati, attesi entro la fine del 2018. Ha svolto consultazioni, ascoltando le Conferenze episcopali e le organizzazioni cattoliche che operano sul campo, e così ha potuto sviluppare una profonda riflessione sulla prassi della Chiesa in questo settore nel corso degli anni.

I Venti Punti di azione si fondano sulle quattro azioni – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – che sostengono la visione di Francesco per un approccio migliore e più solidale al fenomeno delle migrazioni. Queste sono state le raccomandazioni del Papa per i Global Compacts 2018:

«Accogliere richiama l’esigenza di ampliare le possibilità di ingresso legale, di non respingere profughi e migranti verso luoghi dove li aspettano persecuzioni e violenze, e di bilanciare la preoccupazione per la sicurezza nazionale con la tutela dei diritti umani fondamentali. La Scrittura ci ricorda: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”.

Proteggere ricorda il dovere di riconoscere e tutelare l’inviolabile dignità di coloro che fuggono da un pericolo reale in cerca di asilo e sicurezza, di impedire il loro sfruttamento. Penso in particolare alle donne e ai bambini che si trovano in situazioni in cui sono più esposti ai rischi e agli abusi che arrivano fino a renderli schiavi. Dio non discrimina: “Il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova”.

Promuovere rimanda al sostegno allo sviluppo umano integrale di migranti e rifugiati. Tra i molti strumenti che possono aiutare in questo compito, desidero sottolineare l’importanza di assicurare ai bambini e ai giovani l’accesso a tutti i livelli di istruzione: in questo modo essi non solo potranno coltivare e mettere a frutto le proprie capacità, ma saranno anche maggiormente in grado di andare incontro agli altri, coltivando uno spirito di dialogo anziché di chiusura o di scontro. La Bibbia insegna che Dio “ama lo straniero e gli dà pane e vestito”; perciò esorta: “Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”.

Integrare, infine, significa permettere a rifugiati e migranti di partecipare pienamente alla vita della società che li accoglie, in una dinamica di arricchimento reciproco e di feconda collaborazione nella promozione dello sviluppo umano integrale delle comunità locali. Come scrive san Paolo: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio”»[13].

La tratta di esseri umani, gli sfollati interni e i rifugiati climatici

Una chiara indicazione nel pensiero del Papa sulla migrazione si è avuta con il suo riconoscimento del perverso fenomeno della tratta di esseri umani e della necessità di affrontarlo quando avviene nel contesto della migrazione. I migranti sono fortemente esposti alla tratta di esseri umani, perché fuggono in condizioni precarie; spesso rischiano la vita nel tentativo di entrare in un Paese di destinazione e temono di essere deportati. Nel 2014 Francesco ha descritto la tratta degli esseri umani come «una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, un flagello sul corpo di Cristo»[14]. Nel 2018 ha affermato che «le rotte migratorie sono spesso utilizzate da trafficanti e sfruttatori per reclutare nuove vittime»[15].

Ma il Papa ha davanti agli occhi un fenomeno più profondo, che evidenzia nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG). In essa parla di una cultura «usa e getta», per cui l’essere umano è visto come un «bene di consumo» che può essere usato e gettato via (cfr EG 53). «Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta» (EG 211).

All’inizio del 2015, Francesco ha dedicato alla tratta di esseri umani il suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, sottolineando che «siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera le competenze di una sola comunità o nazione» e chiedendo «una mobilitazione di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso»[16]. Nel 2016 ha esortato a sradicare la tratta e il contrabbando di esseri umani, perché queste nuove forme di schiavitù vanno considerate «crimini contro l’umanità»[17].

Due delle tre encicliche scritte da papa Francesco – Laudato si’ (LS), del 24 maggio 2015, e Fratelli tutti (FT), del 3 ottobre 2020 – riflettono sulla tratta di esseri umani. Qualcuno potrebbe sorprendersi che nella Laudato si’, dedicata alla cura e al rispetto per il creato, il Papa faccia riferimento all’indifferenza nei confronti del traffico di esseri umani. Nella sua visione olistica della creazione di Dio, Francesco sottolinea come la cura per la natura non possa essere disgiunta dalla cura per la persona umana: «È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito» (LS 91).

Nel corso del 2018, la Sezione M&R ha organizzato due consultazioni con rappresentanti ecclesiastici, ricercatori, operatori professionisti ed esperti. I sei mesi di consultazione, ascolto, confronto e redazione sono sfociati negli Orientamenti pastorali sulla tratta di persone, approvati dal Papa nel 2019. Il documento affronta il fenomeno della tratta di esseri umani, ne indaga le cause, evidenzia l’importanza di riconoscere la realtà e le dinamiche di questo sfruttamento perverso e, per rispondervi, propone concrete raccomandazioni, tra le quali il recupero dei sopravvissuti.

Un altro gruppo di persone dimenticate è costituito dagli sfollati interni (IDP), profughi che, pur non varcando i confini nazionali, fuggono dalle loro case per gli stessi motivi dei rifugiati: conflitti, persecuzioni, violazione dei diritti umani, povertà estrema ecc. Alla fine del 2021 c’erano 59,1 milioni di sfollati in tutto il mondo (per esempio, in Siria, Venezuela, Etiopia o Myanmar)[18].

Analogamente a quanto fatto sulla tratta di persone, la Sezione M&R ha consultato poi rappresentanti ecclesiastici e di organizzazioni partner e ha stilato gli Orientamenti pastorali sugli sfollati interni, che sono stati pubblicati nel 2020. Essi offrono suggerimenti e linee guida per il ministero della Chiesa nei confronti degli sfollati, per l’attuazione a livello locale, la pianificazione e il concreto coinvolgimento tramite la tutela e il dialogo.

Il titolo del messaggio di papa Francesco per la 106a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, il 27 settembre 2020, è stato: «Come Gesù Cristo, costretti a fuggire. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni». La Giornata mondiale del migrante e del rifugiato è dedicata alla sensibilizzazione sulla condizione delle persone vulnerabili, migranti e rifugiati, alle molte sfide che devono affrontare e a mettere in luce anche le opportunità offerte dalla migrazione.

Nel 2021, Francesco ha richiamato l’attenzione internazionale sulla difficile situazione degli sfollati a causa della crisi climatica, e nel 2022 la Sezione M&R, raccogliendo le esperienze delle Chiese locali di tutto il mondo, ha pubblicato gli Orientamenti pastorali sugli sfollati climatici.

Rifugiati e migranti al centro di un mondo interconnesso

Nel corso del suo pontificato, Francesco ha trattato spesso il problema dei migranti, non solo mostrando una profonda compassione per loro, ma cercando di sviluppare una visione radicale, capace di fornire una prospettiva alternativa a quella abituale, mettendo le persone emarginate al centro della risposta: «Politica giusta è quella che si pone al servizio della persona, di tutte le persone interessate; che prevede soluzioni adatte a garantire la sicurezza, il rispetto dei diritti e della dignità di tutti; che sa guardare al bene del proprio Paese tenendo conto di quello degli altri Paesi, in un mondo sempre più interconnesso»[19].

L’umanità, intesa come «famiglia», e la Terra, in quanto «casa comune», ci rivolgono un appello morale a un impegno costante per la loro cura, difesa e sviluppo. Questi temi costituiscono il filo conduttore dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium e si ritrovano anche nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti.

La riscoperta del progetto originario di Dio per il mondo e per l’umanità, rivelato in Gesù Cristo, si traduce in una serie di impegni concreti nei campi dell’economia, dell’ecologia, della politica e della solidarietà. Nella logica della costruzione del Regno come processo necessario per restare fedeli al progetto originario, vanno messi al centro rifugiati e migranti, insieme a quanti sono meno «utili» per il mondo: i malati, gli anziani, le persone con disabilità. Il Papa ci esorta ancora una volta ad «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» migranti e rifugiati, come missione comune fondamentale. C’è una sola umanità chiamata a prendersi cura di chi è fragile, mettendolo al centro della sua attenzione, e a scegliere leader che abbiano una visione che vada al di là degli interessi nazionali. C’è una sola famiglia che si preoccupa seriamente della casa comune, delle vie per prevenire la migrazione, nella convinzione che l’unica casa che noi abbiamo ha bisogno di cure urgenti e di una nuova economia mondiale fondata sulla giustizia.

Papa Francesco ha saputo trasmettere alle Chiese locali le sue preoccupazioni e ha saputo andare anche al di là del mondo cattolico, ispirando donne e uomini di altre fedi o non credenti, che nel messaggio cristiano hanno riscoperto valori comuni. Uno di essi è senza dubbio il bisogno di «incontro», inteso come il modo per interconnettere correttamente il mondo frammentato, di trasformare questo mondo, in cui i rifugiati sono invisibili, in un mondo riconciliato dove le relazioni e la comunità li mettono al centro.

È questo rapporto fisico e stretto con coloro che sono ai margini che non solo convertirà ognuno di noi, ma alla fine condurrà i leader politici e sociali a «un tipo migliore di politica», come spiega Francesco nella Laudato si’: «Spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto. Questo si deve in parte al fatto che tanti professionisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, in aree urbane isolate, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza di contatto fisico e di incontro, a volte favorita dalla frammentazione delle nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali. Ciò a volte convive con un discorso «verde». Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS 49).

Nel suo andare incontro agli sfollati, papa Francesco sembra dirci che essi ci offrono una grande opportunità per scoprire parti nascoste dell’umanità e per approfondire la nostra comprensione delle complessità di questo mondo. È attraverso migranti e rifugiati che siamo invitati a incontrare Dio e a trovare un modello giusto per le nostre società, che offra un futuro per tutti, «anche se i nostri occhi fanno fatica a riconoscerlo»[20].

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