Il «Diario di preghiera» di Flannery O’Connor | La Civiltà Cattolica

Il «Diario di preghiera» di Flannery O’Connor | La Civiltà Cattolica

IL «DIARIO DI PREGHIERA» DI FLANNERY O’CONNOR
«Sei la sottile luna crescente»

Antonio Spadaro - Elena Buia

ABSTRACT — Il Diario di preghiera della ventenne Flannery O’Connor è un’unica, continua, veemente preghiera a Dio, interlocutore unico di tutte le sue annotazioni, raccolte e scritte con parole del «registro basso», cioè non letterario. Il Diario è dunque un testo difficile da classificare. Non destinato alla pubblicazione, fu composto dal 1946 al 1947, lontano da casa, a Iowa City, dove Flannery si era recata per studiare giornalismo e da dove invece ritornò con la consapevolezza che la sua strada era cambiata: aveva chiesto a Dio di diventare una scrittrice e la sua preghiera era stata esaudita. Flannery O’Connor infatti è oggi considerata una delle scrittrici più eminenti del Novecento, la cui spiritualità ha toccato in modo originale e creativo le profondità della fede cristiana.

Questo Dario è importante perché contiene in nuce una serie di elementi che si dispiegheranno appieno nel corso della sua produzione letteraria successiva. Primo fra tutti, il cosiddetto «problema dell’io», di quell’individualità debordante che impedisce il discernimento del progetto di Dio riguardo alla persona. Fin dalla prima pagina di questo Diario, infatti, la O’Connor, nel protestare il suo disagio per non essere capace di «sentire» le preghiere tradizionali, incalza Dio in modo accorato, con una immagine lirica veemente: «Sei la sottile luna crescente che vedo e il mio io è l’ombra della terra che mi impedisce di vedere la luna per intero […]».

L’esperienza descritta nel Diario di preghiera restituisce l’immagine di una persona vulnerabile ed emotiva, che mette a nudo la sua anima, dando voce a incertezze, ansie, inquietudini, contrasti interiori: un atteggiamento non più rintracciabile successivamente. Ma cosa chiede questa giovane donna al Signore? Innanzitutto di corroborare il suo spirito, di rischiarare la sua mente. La O’Connor implora Dio di renderla cioè capace di visione, di discernimento, inteso come quel «processo spirituale per mezzo del quale si distinguono gli impulsi spirituali che ci conducono a Dio da quelli che ci allontanano da Lui».

Fede e ispirazione letteraria, nella poetica della O’Connor, coincidono perfettamente: «Per lo scrittore di narrativa, non credere in niente equivale a non vedere». Non tutti i credenti sono scrittori, ovviamente, ma chi ha fede ha l’occhio giusto per essere scrittore. Solo così è possibile comprendere a fondo il rigore con cui deve essere intesa la O’Connor quando afferma: «Scrivo come scrivo perché sono (non sebbene sia) cattolica».

(Quaderno 3999 pag. 234 - 242Anno 2017Volume I)

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