Questo contenuto non è al momento disponibile

Il 9 novembre 1989 il muro di Berlino iniziò a cadere.

Era il tramonto del totalitarismo.
Sembravano sorgere una nuova epoca, segnata dalla globalizzazione.
Eppure oggi ha i tratti di indifferenza e conflitto.

Di fronte a un muro crollato, molti altri sono sorti nel mondo.

La crisi globale prende varie forme ed è espressa in conflitti, tariffe, filo spinato, crisi migratorie, regimi che cadono, mosse che minacciano alleanze e vie commerciali che aprono la strada alla ricchezza, ma anche alle tensioni.

Quando Francesco parlava della Chiesa come un «Ospedale da campo dopo una battaglia» non intendeva usare un'immagine bella, retoricamente efficace.

Quello che aveva davanti ai suoi occhi era uno scenario mondano di «Terza guerra mondiale a pezzi».

Per Francesco, il compito della Chiesa non è quello di adattarsi alla dinamica del mondo, della politica o della società sostenendola e facendola sopravvivere nel peggiore dei casi.

Questo è giudicato da lui come «mondanità».

Molto meno ha intenzione di schierarsi contro il mondo, contro la politica e contro la società. Il Papa non respinge la realtà in vista di una brama di apocalisse, di un fine che supera la malattia del mondo distruggendola.

Non spinge a portare all'estremo la crisi del mondo predicando la fine imminente, né si aggrappa ai pezzi del mondo che sta collassando alla ricerca di sistemi di alleanze confortevoli o atti di equilibrio. Inoltre, non cerca di eliminare il male, perché sa che è impossibile.

Si sposterebbe e si manifesterebbe altrove, in altre forme.

Cerca invece di neutralizzarlo.

Proprio qui è il punto cruciale per comprendere quale sia il significato dell'azione bergogliana. Ecco il pensiero inquietante.

È quindi per questo motivo che, sotto il profilo diplomatico, Francesco si assume la responsabilità delle posizioni rischiose.

La tradizionale cautela diplomatica si sposa con l'esercizio della parresia, che consiste nella chiarezza e talvolta nella denuncia.

Prende posizione contro il capitalismo finanziario speculativo e fa costante riferimento alla tragedia dei migranti,

«Un vero nodo politico globale»

il ricordo del «genocidio» armeno, la condanna del possesso (e non solo dell'uso) di armi nucleari.

Gli echi persistenti che queste posizioni e riferimenti hanno generato sono quelli che provengono da una «voce che piange nel deserto», per citare Isaia, il profeta biblico.

E il Papa della misericordia non esita a piangere «dannati», durante una messa a Santa Marta a coloro che fomentano guerre e fanno soldi con loro.

Francesco si trova di fronte al nuovo ruolo globale del cattolicesimo nel contesto odierno.

E in questo contesto la sua è e vuole che sia essenzialmente una visione spirituale ed evangelica delle relazioni internazionali.

Francesco presenta la Chiesa come segno di contraddizione nel mondo abituato all'indifferenza.

Di fronte alla crisi della leadership globale nel mondo occidentale, Francesco resiste alla tentazione di intendere il cattolicesimo come garanzia politica, "ultimo impero", erede di gloriose rovine, baluardo per il declino.

Bergoglio intende liberare i pastori dal sentirsi in guerra in difesa di un ordine la cui caduta porterebbe all'apocalisse del cattolicesimo e forse del mondo.

Semmai, sta sviluppando una contro-narrativa sistematica rispetto alla narrazione della paura.

Dobbiamo quindi combattere questa stagione di ansia e insicurezza.

Questo è il motivo per cui, coraggiosamente, il Papa non dà alcuna legittimazione teologico-politica ai terroristi, evitando, ad esempio, qualsiasi riduzione dell'Islam al terrorismo islamico.

E non lo dà nemmeno a coloro che postulano e che vogliono una «guerra santa» o che costruiscono barriere di filo spinato proprio con la scusa per frenare l'apocalisse e imporre una barriera fisica e simbolica con l'intenzione di ripristinare un «ordine ».

L'unico filo spinato per il cristiano, infatti, è quello della corona di spine che Cristo ha in testa.

Il papa reagisce compiendo un'azione pedagogica verso quei figli di Dio che ancora non sanno di essere bambini e quindi fratelli e sorelle tra loro.

La sua «autorità» è espressa come «paternità».

San Francesco d'Assisi sale al trono di San Pietro. Un chiaro esempio di questa azione è stata la firma, insieme al Grande Imam di al-Azhar, di un «Documento sulla Fraternità umana per la pace nel mondo e la convivenza».

Il documento affronta coraggiosamente la sfida della malattia della religione che trasforma la santità in un servizio di azione politica inteso come causa sacra.

Francesco incontra il Sultano, come 800 anni fa.

E lancia una sfida all'apocalisse : «fraternità».

E se siamo tutti fratelli e sorelle, il papa e l'imam scrivono, allora siamo tutti cittadini con uguali diritti e doveri.

Ogni idea di «minoranza», che porta con sé i semi del tribalismo e dell'ostilità, che vede di fronte all'altro la maschera del nemico, scompare.

Quindi il messaggio assume rilevanza globale: in un tempo segnato da muri, odio e paura indotta, queste parole capovolgono la logica mondana dell'inevitabile conflitto.

Il Papa lo ha espresso chiaramente nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2020 :

dobbiamo rompere la «logica morbosa» della paura, «fonte di conflitto» che aumenta il «rischio di violenza».

L'approccio di Francesco è sovversivo rispetto alle teologie politiche apocalittiche che si stanno diffondendo nel mondo.

facebook.com/772417507/posts/…157662997522508/