Le novità che l’introduzione del digitale nelle sue variegate sfaccettature, non sempre facili da separare con precisione (computer, web, robot, intelligenza artificiale), presenta in ogni campo della vita umana sono sterminate e affascinanti; tutto ciò nello stesso tempo suscita anche interrogativi rilevanti.
L’articolo prende in considerazione alcuni ambiti specifici della vita umana nei quali l’assenza di controllo può portare a gravi conseguenze sociali, ossia a una possibile «dittatura del digitale»; e altri invece dove l’apporto dell’intelligenza artificiale può offrire un contributo, oltre che utile, anche correttivo nei confronti della volubilità umana.
Così esso offre molteplici spunti e casi di studio che disegnano le luci e le ombre dell’automazione; approfondisce le differenze tra la comunicazione di informazioni (e la loro sintassi), e la ricchezza di significati del linguaggio umano (semantica), e come esso – nella sua dimensione essenzialmente biologica, corporea, vivente – sia collegato alla salute mentale di una persona.
Celebre l’esperimento mentale, ideato dal filosofo John Searle, chiamato «stanza cinese», in cui emerge come la mente umana sia irriducibile non solo a un algoritmo o a una macchina, ma anche a una dimensione meramente materiale. Un’evidenza divenuta visivamente esemplare grazie al celebre film di Stanley Kubrick 2001, Odissea nello spazio, nel dialogo tra un astronauta e il megacomputer di bordo, Hal 9000.
L’articolo dunque illustra come alcune attività della vita ordinaria mostrano una complessità che si pone su un livello qualitativamente differente rispetto all’intelligenza artificiale. E cerca di offrire la prospettiva di un «umanesimo digitale», che implica un dialogo sempre più attento tra le innovazioni tecnologiche e le scienze umane.
Quali sono le domande che l’articolo affronta?
Quali sono i vantaggi, le opportunità, e quali invece i rischi e le preoccupazioni destate dallo sviluppo delle «intelligenze artificiali»?
Le macchine hanno una morale?
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