È tempo di abolire le armi nucleari | La Civiltà Cattolica

È tempo di abolire le armi nucleari | La Civiltà Cattolica

Durante la «Guerra fredda» la dottrina strategica dominante era la Mutually Assured Destruction (Mad), ovvero letteralmente la «distruzione reciproca assicurata».

L’ironia dell’acronimo inglese è stata tristemente riconosciuta sia dai suoi sostenitori sia dai suoi critici.

Soltanto a un «pazzo» sarebbe potuto venire in mente di scatenare una guerra nucleare che avrebbe portato alla distruzione su scala globale.

Ma sembra che i giorni della Mad siano ritornati attuali. Giovedì 8 agosto un missile sperimentale russo è esploso sul Mar Bianco al largo di Arcangelo, sulla costa nord-orientale della Russia. Poco dopo, fonti ufficiali locali hanno riferito livelli di radiazioni 16 volte superiori alla norma.

Analisti di intelligence ipotizzano che ci sia stato un malfunzionamento del piccolo reattore nucleare che alimenta un missile che i russi chiamano Burevestnik e i funzionari della Nato Skyfall. Una settimana più tardi, ai residenti di Nenoska – la località più vicina al sito del test missilistico – è stato detto di prepararsi all’evacuazione; i medici che stavano curando i superstiti dell’incidente sono stati obbligati a loro volta ad andarsene, e le stanze di degenza sono state sigillate.

A detta di alcuni, il Burevestnik è la pietra angolare del programma di riarmo russo, progettato per eludere non soltanto i trattati sul controllo degli armamenti, ma anche i più sofisticati sistemi antimissile. Il motore nucleare di cui è dotato gli consentirebbe di percorrere lunghe distanze, seguendo un itinerario sfuggente, assai difficile da prevedere per chi volesse adottare eventuali contromisure.

Si dice anche che i russi stiano sperimentando un drone sottomarino capace di operare in modo autonomo come arma di replica in caso di attacco nucleare al loro Paese. Si sa qualcosa di più riguardo a un programma per un missile supersonico ad altissima quota, che vola cinque volte oltre la velocità del suono ed è capace di una navigazione evasiva: lo ha annunciato lo stesso presidente russo Vladimir Putin in un discorso del 2018. Anche quest’arma sarebbe capace di sconfiggere la tecnologia antimissile.

Una nuova corsa agli armamenti nucleari
Queste armi sono soltanto in fase di progettazione o di sviluppo, ma evidenziano l’enorme rischio che una nuova corsa agli armamenti nucleari tra la Russia e gli Stati Uniti rappresenta per il mondo.

Nell’agosto scorso gli Stati Uniti hanno mandato un segnale eloquente, ritirandosi dall’Intermediate Nuclear Forces Trea­ty (Inf) sui missili nucleari a corto e medio raggio, ed è noto che allo stato attuale è difficile che Stati Uniti e Russia rinnovino il Trattato New Start sulla riduzione delle armi nucleari strategiche, quando scadrà nel 2021.

Parimenti, nessuno dei due Paesi ha sottoscritto il Trattato delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw) del 2017.

Cosa ancora più significativa, le strategie difensive della Russia e degli Stati Uniti continuano a consentire l’uso di armi nucleari contro minacce non nucleari, acuendo il rischio di un conflitto irreparabile. La Russia considera apertamente le proprie armi nucleari una difesa contro il dominio detenuto dagli Stati Uniti e dalla Nato quanto a capacità bellica convenzionale.

Nell’ultima Nuclear Posture Review (Npr, i Rapporti del Pentagono sulla strategia nucleare degli Stati Uniti) del febbraio 2018, l’opzione nucleare è stata prevista contro gli «attacchi strategici significativi» non nucleari, compresi i terroristi e le armi biologiche e chimiche globali.
Tranne la Cina, nessuna potenza nucleare ha assunto l’impegno al No First Use, cioè a non ricorrere per primi all’impiego delle armi nucleari. Nessuna delle nove potenze nucleari odierne, neppure le cinque che hanno firmato il Trattato di non proliferazione (Npt), dichiara di mantenere i propri arsenali nucleari esclusivamente a scopo dissuasivo, come chiedevano i vescovi degli Stati Uniti nel 1983 con la Lettera pastorale The Challenge of Peace.
Che cosa si deve fare?
In questo contesto la Conferenza di revisione del Npt, prevista per la prossima primavera, rischia di tramutarsi in una sorta di mischia generale diplomatica in cui gli Stati non nucleari rinfacceranno a quelli che posseggono armi nucleari, firmatari del Trattato (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina), di aver violato il loro impegno al disarmo ai sensi dell’articolo VI.
Già la riunione preparatoria della primavera scorsa si è conclusa senza una dichiarazione di consenso, perché gli Stati che possiedono ufficialmente armi nucleari (Nws) hanno dichiarato che i loro interessi non erano stati presi in considerazione nella proposta di risoluzione. Alla fine il presidente ha pubblicato un rapporto sotto la propria autorità.
Che cosa si deve fare per scongiurare il cammino verso una guerra che, come disse Ronald Reagan, «non può essere vinta e non deve mai essere combattuta»? La Conferenza di revisione del Npt, prevista per il 2020, sarà senza dubbio occasione di dibattiti e controversie, ma da essa potrebbe arrivare una spinta per rilanciare iniziative già approvate nelle Conferenze precedenti e tuttora da promulgare: per esempio, l’istituzione di una Nuclear Weapons Free Zone in Medio Oriente, così come un rinnovato impegno collettivo per sostenere il Tpnw.
Nel peggiore dei casi, la Conferenza di revisione del Npt del 2020 si annuncia come uno scenario conflittuale e improduttivo. Negli Stati non nucleari è cresciuta l’impazienza verso il doppio standard degli Stati nucleari, che da una parte vogliono far rispettare le regole di non proliferazione, ma dall’altra si sottraggono alle proprie responsabilità riguardo al disarmo nucleare. È difficile pensare che questo Trattato resti in piedi, mentre altri Trattati, anche bilaterali, sul controllo delle armi vengono abbandonati e calpestati. Senza un nuovo consenso sul disarmo, il Npt sarà soltanto la foglia di fico che nasconde la riluttanza dei Nws a disarmarsi.
La Conferenza Onu del 2017 sulla proibizione delle armi nuclea­ri ha mostrato che c’è un consenso globale sulla loro abolizione tra gli Stati non nucleari, compresa la Santa Sede, e le organizzazioni della società civile; e la Conferenza di quest’anno in preparazione a quella di revisione del Npt ha messo in evidenza la resistenza della maggioranza non nucleare al «bullismo» degli Stati in possesso di armi nucleari, così come la volontà della maggioranza dei Paesi di procedere per conto proprio alla definizione dei termini di sicurezza internazionale, fino a quando le grandi potenze, i loro alleati e alcuni «Stati ombrello» non saranno pronti a unirsi a essi.
Nel frattempo, c’è da sperare che attivisti, specialisti di controllo degli armamenti, think-tanks ed esperti si diano da fare per l’estensione del Trattato New Start e per sensibilizzare l’opinione pubblica, da qualsiasi parte, a favore delle politiche No First Use. Il rinnovo del New Start costituisce l’ultima opportunità per mantenere un freno significativo su una corsa indiscriminata alle armi nucleari.
Con la campagna presidenziale in corso, i cittadini degli Stati Uniti hanno l’opportunità di esaminare i potenziali candidati riguardo al loro buonsenso sul nucleare. È improbabile che un candidato democratico si schieri per il No First Use prima della propria elezione, ma risvegliare le coscienze durante la campagna accresce la probabilità che la questione venga messa all’ordine del giorno di una nuova amministrazione, nel gennaio 2021.
Il No First Use sarà difficile da proporre. Un disegno di legge in proposito (HR 669) era stato presentato al 115° Congresso (2017-18) con 82 firmatari, ma fu fermato per un solo voto prima dell’ammissione alle votazioni dell’Assemblea. Sotto il profilo morale, quello del No First Use è un impegno elementare per chiunque voglia elaborare una politica nucleare eticamente giustificata. Ma la politica è un osso duro. Ciò nonostante, il No First Use resta attuale, perché consente di mantenere il controllo nei confronti dell’avvio di una guerra nucleare. Inoltre, costituisce il punto di partenza per creare un cammino verso il Nuclear Zero, ovvero l’eliminazione delle armi nucleari come strumenti di guerra.
Non dovremmo poi dare per scontato che nella Russia di Putin manchino le obiezioni all’incremento nucleare. Nel corso dell’ultimo anno, una serie di gravi incidenti militari ha generato ansia tra la gente, e anche nell’esercito. In altri settori delle forze armate russe si è diffuso il malcontento, se non l’invidia, per l’eccessiva quota del bilancio statale che viene riservata allo sviluppo delle armi nucleari.
Gli ingenti stanziamenti per le armi nucleari aggravano anche le disuguaglianze all’interno della Federazione russa e costringono i servizi pubblici fondamentali a grandi sacrifici. Parimenti, amplificano i malcontenti regionali. Durante l’incidente del Burevestnik i moscoviti sono stati invitati a rimanere in casa per un paio di giorni, mentre i cittadini dell’area di Arcangelo, esposti in pieno alle radiazioni, non hanno ricevuto alcun avviso. La corsa al riarmo ha provocato tensioni nella società e nell’esercito russi, e questo potrebbe indurre il governo a rallentarne il ritmo e a ritornare a una politica di controllo degli armamenti e di sforzi per il disarmo.
Il ruolo della Chiesa
Quello dell’abolizione è stato l’obiettivo della dottrina della Chiesa sulle armi nucleari fin dall’Enciclica Pacem in terris di san Giovanni XXIII, nel 1963. Due anni dopo, il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes (GS), riflettendo sulle armi nucleari, dichiarava che «ogni azione bellica che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni con i loro abitanti è un delitto contro Dio e contro la stessa umanità, che deve essere condannato con fermezza e senza esitazione» (GS 80). Inoltre, condannava la corsa agli armamenti nucleari, così come gli ordini immorali e la cieca obbedienza, ed esortava a considerare l’argomento della guerra «con mentalità completamente nuova». Questi princìpi continuano a essere il cuore dell’insegnamento della Chiesa sulla guerra nell’era nucleare. Ogni cattolico dovrebbe conoscerli e collocarli accanto a quello della sacralità della vita umana (dal concepimento fino alla morte naturale).
Venti anni più tardi, i vescovi degli Stati Uniti, ispirandosi al discorso di san Giovanni Paolo II all’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1982, sostennero un’accettazione condizionata della deterrenza nucleare, ma le condizioni che stabilirono – in particolare la destinazione degli arsenali nucleari all’unico scopo della deterrenza – oggi non vengono più rispettate. Per parecchi anni i diplomatici vaticani hanno protestato nelle sedi internazionali, affermando che la deterrenza era stata usata come copertura dell’incapacità degli Stati dotati di armi nucleari di intraprendere un ulteriore disarmo.
Nel 2017, in un Convegno in Vaticano, papa Francesco ha apertamente condannato la deterrenza, dichiarando, in riferimento alle armi nucleari, che «è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso». La prima cosa da fare è rendere consapevole di questo insegnamento tutta la Chiesa, dai vertici fino ai semplici fedeli. La condanna della deterrenza da parte della Chiesa e il suo sostegno all’abolizione dovrebbero essere pubblicamente insegnati da vescovi, cappellani militari, operatori pastorali e teologi morali. Dovrebbero trovare posto nei consigli che vengono dati dagli insegnanti, dai direttori spirituali e dagli operatori pastorali; come fecero i vescovi statunitensi nel 1983, questi temi pastorali dovrebbero essere discussi apertamente e divulgati nei corsi liceali e universitari, nonché nella catechesi per giovani e per adulti.
Nel 1983, il dibattito pubblico della Conferenza episcopale statunitense sulla pastorale fece cambiare opinione a una parte notevole della popolazione cattolica degli Stati Uniti. Trovò espressione nelle accademie militari e nelle università e si impose sullo sfondo dei dibattiti politici nel Congresso. Mentre si intensifica il dibattito sulla nuova corsa agli armamenti nucleari, i cattolici nei Paesi in possesso di armi nucleari dovrebbero schierarsi in prima linea, ponendo le basi per fermare l’accumulo di armi, rafforzare le politiche di disarmo e adoperarsi per l’abolizione definitiva delle armi nucleari.
Va sollecitato il sostegno alle misure per rafforzare il Tpnw e favorire l’entrata in vigore del Trattato, così come l’approntamento di meccanismi di salvaguardia e di disarmo che il Trattato ha lasciato nel vago.
Inoltre la Santa Sede, in continuità con le politiche precedenti e con l’aiuto dei vescovi dei Paesi in possesso di armi nucleari, dei loro alleati e degli «Stati ombrello», dovrà adoperarsi per altre iniziative, come l’adozione del Trattato sulla totale messa al bando degli esperimenti nucleari (Ctbt), e per avviare negoziati sul Trattato che proibisce la produzione di materiale fissile per le armi nucleari (Fmct).
Man mano che le garanzie del passato cadono nel dimenticatoio e lasciano spazio all’attuazione di nuove politiche aggressive, c’è da augurarsi che in tutto il mondo cresca l’opposizione pubblica alla follia del «tutto è permesso» dell’odierna era nucleare. I cattolici impegnati possono e devono certamente schierarsi quando si verificano eventi clamorosi, come la recente esplosione del Burevestnik/Skyfall o le controversie sui finanziamenti delle attività di test e sviluppo dell’arsenale nucleare.
Gruppi di laici – ad esempio Pax Christi, Pax Romana e la Caritas Internationalis –, come pure le Commissioni nazionali e diocesane di Giustizia e pace, dovrebbero istruire i loro affiliati su questi temi e sul relativo insegnamento della Chiesa. Come negli anni Ottanta, per i cattolici e per tutti i cristiani è giunto il momento di unirsi a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per dire «no» alla guerra nucleare

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