Buona informazione contro bufale, quando le parole sono "ponti" | RomaSette

Buona informazione contro bufale, quando le parole sono "ponti" | RomaSette

Fare informazione è un atto di responsabilità nei confronti del cittadino e della società.

È questo il nucleo delle riflessioni emerse sabato sera, 29 settembre, nel corso della tavola rotonda organizzata da La Civiltà Cattolica sul tema “Il bene comune dell’informazione.

Quando le parole sono ponti e non pietre”.

Nella sede editoriale della rivista della Compagnia di Gesù, a via di Porta Pinciana, ad introdurre i lavori è stato padre Francesco Occhetta, gesuita e scrittore, che ha sottolineato come «l’informazione è performante perché in gioco, nel comunicare, c’è una certa idea di cultura perciò una comunicazione che operi per il bene comune deve dare forma ad idee di pace» mentre oggi sembra prevalere «la linea della diffusione di sospetti e dell’invenzione di “bufale”, in un clima in cui parlano pochi leader mentre alle minoranze viene spesso spento il microfono».

Anche Carlo Verna, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, ha posto l’accento sulla «funzione sociale della professione del giornalista che si esercita in risposta al diritto del cittadino di essere informato correttamente».
Chi fa informazione «è un mediatore capace di un particolare atteggiamento di ascolto dei fatti – ha chiosato – e deve sapere usare le parole affinché siano fonte di dialogo, non di scontro, sapendo offrire anche con il proprio atteggiamento di autorevolezza una garanzia maggiore di attendibilità rispetto al profluvio di notizie che arrivano da fonti disparate».
Verna ha anche osservato come «c’è una correlazione evidente tra la diminuzione del numero di lettori che fruiscono delle notizie della carta stampata e una sempre minore partecipazione alla vita sociale», segnale evidente «di una perdita di fiducia e di scoramento diffusi», per questo «è necessario ritrovare i grandi maestri del giornalismo per tornare al racconto veritiero dei fatti cui siamo chiamati, quello che mai compromette la ricerca della verità su cui si fondano i valori di una società».

Dello stesso avviso Roberto Natale, membro fondatore dell’associazione Articolo 21 : «Il dovere professionale del giornalista non si misura a colpi di “like” – ha evidenziato -, anzi, la verità dei fatti può andare spesso contro il sentire comune». Tuttavia «l’informazione autentica è quella che rispetta i dati reali, senza la ricerca del sensazionalismo perché lo scopo non è colpire allo stomaco il lettore ma operare per la coesione sociale nel tentativo di costruire comunità».
Riflessione in perfetta sintonia con il tema scelto da Papa Francesco per la 53ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali,annunciato proprio sabato: “Siamo membra gli uni degli altri. Dalle community alle comunità”.

Affinché il giornalismo, «quale strumento a tutela della democrazia stessa», possa contribuire «a fondare un sentire comune – ha auspicato Vania De Luca, presidente dell’Unione cattolica stampa italiana –, c’è bisogno di una formazione continua fatta non di tecnica ma di coscienza». Stampa e media «sono ponti a doppio senso tra le istituzioni e i cittadini e il giornalismo deve garantire la correttezza della trasmissione dell’informazione, fornendo strumenti e griglie di riferimento affinchè chi fruisce delle notizie sia messo nella condizione di crearsi un proprio punto di vista».

Citando Calvino, secondo cui il buongiornalismo è quello che cerca di offrire strumenti critici di pensiero, Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, ha asserito con forza che «il compito vero della comunicazione è dare sostegno a chi non ha voce, a chi aspira alla libertà e ai valori autentici» offrendo chiavi di lettura autorevoli perchè «senza gli alfabeti chi ci legge non è un lettore ma un cliente».

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