Mons. Melchor Sanchez de Toca: ritorno dalle Olimpiadi Corea 12-02-2018

Al Congresso del CIO (.Comitato Olimpico Internazionale.)
«Il debutto della Santa Sede: in missione pastorale»

A rappresentare il Papa Melchor Sánchez de Toca:

«Sono qui per osservare la vita del movimento olimpico. II supporto della fede valorizza l'attività sportiva»

PYEONGCHANG
Anche la bandierina del Vaticano è stata piantata sulla neve coreana.
Al Congresso del Cio a rappresentare il Papa è stato monsignor Melchor Sánchez de Toca, 52enne spagnolo, esperto di montagna visto che nato a Jaca sui Pirenei.

«Sono sacerdote dell'arcidiocesi di Toledo dal 1993. Avevo studiato filosofia a Madrid e poi sono entrato in seminario. Ho completato gli studi teologici a Roma alla Gregoriana, dal 1998 lavoro al Pontificio Consiglio della Cultura».

Ha praticato qualche sport?
«Da bambino non ho giocato a calcio, sebbene mio nonno sia stato uno dei fondatori dell'Atletico Madrid, ma mi sono appassionato agli sport invernali. Mi piace la montagna e le scalate in quota. A 14 anni ho praticato il pentatlon moderno, poi ho lasciato perché gli allenamenti mi prendevano tempo».
Come è cominciato il suo lavoro nel mondo sportivo?
«Qualche anno fa, il cardinale Ravasi decise di aprire un settore di studio e di attività orientato allo sport, inteso come fenomeno culturale. Avendomi affidato questo compito, ho contattato le istituzioni sportive, prima il Comitato olimpico italiano, poi il Comitato olimpico internazionale.
Da li è nato un rapporto di collaborazione che poi si è manifestato in diverse iniziative e che è arrivato all'invito a partecipare alla Sessione Olimpica».

Ha ricevuto qualche consiglio dal Papa?
«Non io direttamente. Il cardinale Ravasi aveva incontrato il Santo Padre il 2 febbraio e avevano parlato dei Giochi e del messaggio da rivolgere in tale occasione.
Per il Papa lo sport è elemento fondamentale del processo educativo».

Aveva già vissuto altre Olimpiadi in passato?
«Ero stato all'apertura dei Giochi Europei di Baku e delle Olimpiadi estive di Rio, ma a titolo personale o come ospite del Cio. Questa volta, invece, ero in veste ufficiale, come delegazione della Santa Sede. Poter partecipare alla Sessione Olimpica è stato incredibile, così come vivere i Giochi dall'interno».

Ci racconti la sua missione a Pyeongchang.
«La delegazione della Santa Sede era un osservatore. Per tanto ho ascoltato attentamente, seguito le discussione con estremo interesse, notando le convergenze e le sintonie con la missione della Santa Sede, che è anzitutto pastorale.
Allo stesso tempo, la convivenza con i membri Cio ha permesso di allacciare amicizie che possono tradursi nella realizzazione di progetti comuni.
Come sacerdote, essere stato in mezzo alla famiglia olimpica è stata una missione ad gentes, essere inviato in un ambiente che rimane lontano ai noi, anche se vicino per i valori che rappresenta».

Vedremo mai una squadra del Vaticano ai Giochi olimpici?
«Credo che il senso fondamentale di una delegazione della Santa Sede sia quello di osservatore. Non dobbiamo competere con altri, né abbiamo atleti da inviare a competere contro altre nazioni.
Il Vaticano non è un Paese nel senso tradizionale del termine. La Santa Sede è uno Stato riconosciuto dalla comunità internazionale, ma per poter svolgere la sua missione pastorale. Partecipare alle discussioni e alla vita del movimento olimpico da osservatori riflette meglio la natura della Santa Sede, come del resto avviene alle Nazioni Unite e negli altri organismi internazionali».

Quindi niente vessillo del Vaticano alla prossima sfilata.
«Mi dispiace per i collezionisti di figurine, ma non credo che vedranno sfilare la bandiera vaticana in una cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici».

Ha visitato il centro multi-fede del villaggio?
«Nel villaggio c'è sempre uno spazio destinato alla preghiera e alle celebrazioni religiose. Qui ci sono una serie di stanze arredate secondo le diverse esigenze. Il luogo mi è sembrato alquanto freddo, ma il cappellano cattolico, padre Francis Lim, ci mette tutto il cuore».

Come possono essere coniugate fede e sport?
«Lo sport è un fenomeno culturale universale; è presente in tutte le culture in modi diversi.
Solo per questo dovrebbe essere importante per una considerazione teologica, secondo il vecchio adagio: humani nihil a mealienurn puto».

Nulla che sia umano mi è estraneo. Quindi?
«Il gioco è un momento di crescita. I pedagoghi cristiani lo hanno capito e così, san Giovanni Bosco, san Leonardo Murialdo, don Pino Puglisi hanno colto il potenziale educativo dello sport nel processo di crescita nella fede.
L'oratorio è la sintesi tra catechesi e gioco uniti al servizio di un unico progetto, che è formare integralmente le persone e potenziarne lo sviluppo.
Allo stesso modo, la fede, il Vangelo con la sua forza, purifica, eleva e trasforma le realtà umane, rendendole autentiche».

La fede aiuta a salire sul podio?
«Un atleta cristiano non vincerà più medaglie di un altro, ma la sua fede valorizza la sua attività, trasformandola in atto di gloria a Dio. La fede inoltre aiuta a vincere le tentazioni che circondano il mondo dello sport». Mario Nicoliello Melchor Sánchez de Toca

( Avvenire pag.23 : Intervista a Melchor Sánchez de Toca - «Il debutto della Santa Sede: in missione pastorale» )

https://youtu.be/llsEANJ4bSg

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