l’Europa e le migrazioni: una crisi delle “politiche” piuttosto che una crisi migratoria in...

l’Europa e le migrazioni: una crisi delle “politiche” piuttosto che una crisi migratoria in...

Europa e migrazioni:
una crisi delle “politiche”
piuttosto che una crisi migratoria in senso stretto.

Un inquadramento.
Tra la legislazione e le politiche.

di Giuseppe Bova Crispino e Luca Steinmann

In merito al fenomeno migratorio in Europa assistiamo ormai da alcuni mesi, sull’onda delle crescenti pressioni da parte di fasce consistenti di opinioni pubbliche europee, in particolare nei Paesi destinatari finali dei flussi migratori, ad un progressivo deteriorarsi dello scenario politico-istituzionale europeo che sta portando ad una graduale erosione del c.d. sistema Schengen.

Non può ragionevolmente essere sminuita la portata dell’ afflusso di migranti nel 2015 durante il quale, stando alle stime di Frontex, oltre un milione di persone sono giunte sulle coste greche e italiane. Circa 850.000 di queste si sono imbarcate infatti in Turchia alla volta della Grecia per proseguire il loro viaggio attraverso i Balcani, in transito verso i Paesi di destinazione finale che sono prevalentemente l’ Austria, la Germania, la Svezia. Il resto degli arrivi via mare in Europa ha riguardato il “fronte sud” ed ha investito per la quasi totalità le coste italiane. L’aumento registrato nel 2015 ha carattere eccezionale rispetto alla media degli arrivi nel decennio precedente. Non si tratta di un episodio bensì di una tappa nell’ ambito di un processo che inevitabilmente continuerà negli anni a venire. Bisogna tener presente infatti che la grave e continua instabilità di molte aree limitrofe alla frontiera sud e sud est dell’Unione, unita allo strutturale squilibrio economico-sociale e demografico fra l’ area mediorientale, maghrebina e sub-sahariana con quella europea, continueranno a produrre queste conseguenze a medio-lungo termine.

Con riguardo ad un quadro generale dell’ attuale legislazione europea in materia di immigrazione, il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il giorno 01/05/1999, stabilisce una comunitarizzazione graduale della politica migratoria ed un termine, cinque anni, affinchè gli stati membri arrivino ad avere una politica comune in materia di immigrazione. Il Consiglio Europeo straordinario di Tampere del 15/16 ottobre 1999 accolse con favore la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. La sfida insita nel Trattato di Amsterdam, recepita dal richiamato Consiglio Europeo straordinario, era quella di garantire che tale libertà, comprensiva del diritto alla libera circolazione in tutta l’ unione, potesse essere goduta in condizioni di sicurezza e di giustizia accessibili a tutti.

Le principali linee guida stabilite nel programma di Tampere, in particolare, erano i principi di parità ed equità di trattamento dei cittadini dei Paesi terzi, il principio di solidarietà e condivisione delle responsabilità, i diritti basilari sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’ UE e lo Stato di diritto. Nel documento conclusivo di Tampere il Consiglio Europeo chiedeva, con riferimento alla gestione dei flussi migratori, una più stretta cooperazione e assistenza tecnica fra i servizi degli Stati membri preposti al controllo delle frontiere (per esempio mediante programmi di scambio e trasferimenti di tecnologia) nonché la rapida integrazione degli stati candidati in tale cooperazione.

Tale documento, tuttavia, aveva carattere meramente orientativo e non prescrittivo. A conferma di ciò, il Comitato economico e sociale europeo, richiesto di un parere esplorativo sul tema delle politiche europee di immigrazione, l’11 settembre 2014, invitava il Consiglio e i rappresentanti degli Stati membri a “compiere un passo decisivo che vada oltre le affermazioni retoriche e le dichiarazioni di principio e ad adottare iniziative concrete che, una volta attuate, diano risultati tangibili”.

Sono trascorsi circa diciassette anni da quando, con il trattato di Amsterdam, sono stati compiuti i primi passi verso una politica comune in materia di immigrazione, asilo e frontiere. Deve constatarsi, con non poca amarezza, che i principi generali contenuti nei trattati attendono ancora di essere pienamente attuati. Non vi è stata peraltro, in seno all’ UE, una capacità di prevedere una fase critica, sul piano dei flussi migratori, qual è quella che stiamo vivendo. Non sono stati dunque anticipatamente predisposti, prima sul piano normativo dunque su quello amministrativo ed operativo, strumenti adeguati alla gestione comune di un fenomeno migratorio della portata di quello attuale.

Passando dal piano legislativo a quello delle politiche, lo straordinario incremento dei flussi migratori accompagnato da una forte spinta mediatica sembrava potesse finalmente indurre una presa di coscienza della portata inevitabilmente europea del fenomeno. Esso ha al contrario generato una sequenza di azioni unilaterali di rafforzamento dei controlli alle frontiere nazionali intrapresi negli ultimi anni da numerosi Paesi. Al fine di meglio comprendere la dinamica venutasi a determinare, sul piano politico, tra il livello dell’Unione Europea ed il livello dei singoli Stati, è opportuno ripercorrere i seguenti significativi passaggi.

Dinanzi all’ ennesima tragedia del mare il nostro Paese aveva chiesto ed ottenuto nell’aprile 2015 un Consiglio Europeo straordinario in cui i capi di stato e di governo si erano impegnati a fare un salto di qualità sulla gestione dei flussi migratori nel mediterraneo. La Commissione si era subito attivata proponendo un’ Agenda europea che triplicava immediatamente le risorse a disposizione dell’ operazione Triton, passando così da 3 a 9 milioni di euro al mese ed assestandosi sullo stesso livello della precedente missione italiana Mare Nostrum. Soprattutto per la prima volta la Commissione proponeva una ripartizione dei migranti su scala europea in cui le quote assegnate ai singoli Stati dipendevano essenzialmente dal numero dei richiedenti asilo già accolti dal paese, dal suo peso demografico e dalla sua ricchezza.

Alla proposta della Commissione seguì una levata di scudi non solo da parte dei paesi del nord e dell’ est ma anche da parte di paesi “mediterranei” come la Francia, la Spagna ed il Portogallo. La Commissione dovette dunque moderare di molto le proprie ambizioni introducendo, rispetto allo schema a quote sempre obbligatorie, tetti e vincoli assai più stringenti che trovarono comunque l’ avversione e le resistenze di non pochi Paesi europei.

In particolare la Francia impedì di fatto ai migranti provenienti dall’ Italia di varcare la frontiera di Ventimiglia. In questo frangente il premier ungherese Orban annunciava l’ intenzione di costruire un muro fra la frontiera serba e quella ungherese, adducendo come spiegazione il fatto che non fosse certamente il primo muro in Europa. Orban faceva riferimento, in particolare, al muro che si sta erigendo fra la Bulgaria e la Turchia al fine di ridurre il flusso dei migranti che varcano le frontiere. Giungendo sino agli sviluppi degli ultimi mesi, vi è stato un vero e proprio “effetto domino” della sospensione, benché temporanea, degli accordi di Schengen. Ciò è accaduto di fatto nella frontiera norvegese-svedese, svedese-danese e danese -tedesca, ed è stato annunciato anche da altri paesi. A quanto detto si aggiungono anche altre più fantasiose forme di chiusura delle frontiere. Si pensi per esempio alla necessità di stabilire tetti per l’ingresso dei rifugiati annunciata dall’ Austria.

Vale la pena di ricordare che, non essendo state adottate iniziative conseguenti destinate a dare seguito alla piattaforma programmatica confluita nel richiamato documento conclusivo del Consiglio Europeo straordinario di Tampere dell’ ottobre 1999, le politiche migratorie non sono ancora oggi di esclusiva competenza di Bruxelles, anzi una parte preponderante delle competenze rimane nelle mani degli stati membri. Ciò significa che un’azione più efficace da parte dell’Unione richiederebbe di rivedere i trattati.

Ferma restando l’ esigenza per l’ Unione Europea, in una prospettiva quanto meno di medio termine, di muoversi con audacia nella direzione di una revisione dei Trattati tale da spostare il baricentro delle competenze dai singoli Stati al livello comunitario, l’attuale criticità del fenomeno migratorio impone all’ Europa di studiare e predisporre, sin da subito, misure tese a facilitare la gestione dei flussi migratori la cui operatività sia indipendente dal più articolato e lungo procedimento di revisione dei trattati. Sono riconducibili a questo genere di interventi sia la proposta, sostenuta dalla Presidenza di turno olandese, di istituire una Guardia di Frontiera e Costiera europea, sia il cosiddetto “Migration Compact” presentato lo scorso 18 aprile dal governo italiano al Consiglio degli Affari esteri dell’ Unione Europea.

Cosa prevede il “MIGRATION COMPACT”?

Per quanto concerne la suddetta proposta italiana, essa mira ad offrire un contributo di pensiero su un possibile percorso per migliorare l’ efficacia delle politiche migratorie esterne dell’ Unione. Preventivamente all’ esame dei contenuti, giova conoscere i presupposti sulla base dei quali è stata elaborata la proposta del Governo del nostro Paese. Anzitutto la considerazione delle migrazioni verso l’ Europa alla stregua di un fenomeno strutturale. In ragione di ciò la necessità di adottare politiche non più mirate a gestire semplicemente le emergenze ma destinate ad intervenire sulle cause dei flussi migratori. In secondo luogo, nel solco della prospettiva appena esposta, viene riconosciuto un ruolo fondamentale alla dimensione esterna della politica migratoria anche in rapporto alla tenuta di Schengen ed al principio di libera circolazione. A questo proposito il governo italiano sollecita una cooperazione mirata e rafforzata con i Paesi terzi di provenienza e di transito tale da rendere più sostenibile la gestione dei flussi migratori. Deve inoltre tenersi presente l’ individuazione nell’ Africa del contesto cruciale rispetto al quale implementare l’ azione politica esterna dell’ UE. Tale scelta strategica trova fondamento nella consapevolezza di un dato: l’afflusso crescente di persone verso il vecchio continente, in cui la solidarietà degli Stati membri viene ogni giorno messa a dura prova, proviene prevalentemente dall’ Eritrea, dalla Siria, dall’ Iraq, dalla Nigeria, dal Gambia, dal Senegal e dalla Guinea.

Vale la pena peraltro, dando ancora conto della prospettiva programmatica nella quale si inserisce la proposta italiana, sottolineare che le politiche di intervento nei paesi di provenienza e di transito sono sollecitate in aggiunta alle imprescindibili operazioni di salvataggio in mare e di accoglienza. Viene dunque, contrariamente alla “versione leghista dell’ aiutiamoli a casa loro”, affermato senza esitazione alcuna il primato dello Stato di diritto per cui occorre continuare a salvare chi arriva e ad accoglierlo in quanto diritto ed obbligo umanitario.

Il documento italiano è incentrato sull’ idea di sviluppare un modello di offerta ai Paesi terzi all’ interno del quale alle misure proposte da parte dell’ UE corrispondano impegni precisi dei medesimi Paesi terzi.

Le iniziative di cui l’ Unione Europea, stando alla proposta italiana, potrebbe farsi carico nei confronti dei paesi di origine e di transito prevalentemente africani sono le seguenti:

- la creazione di un Fondo Europeo per gli investimenti nei paesi terzi nel quale stornare tutti i soldi che oggi l’ Europa usa per l’Africa. Si intende fare riferimento ad investimenti da destinare ad opere dall’alto impatto sociale ed infrastrutturale che devono essere individuate con il Paese partner.

- l’ emissione di strumenti finanziari europei, i cosiddetti UE-Africa Bonds, ai quali si ricorrerebbe per aiutare gli stati africani ad investire in ricerca ed innovazione.

- la scelta di privilegiare e migliorare la cooperazione sul fronte della sicurezza (controllo alle frontiere, gestione dei rifugiati, giustizia penale) in tutti i programmi UE in Africa anche organizzando missioni regionali per la gestione dei flussi

- l’ implementazione di strumenti di migrazione legale verso l’ Europa, predisponendo corsi formazione e di lingua per i migranti.

- l’elaborazione di uno schema di redistribuzione dei migranti all’ interno dell’ UE, vale a dire un sistema di compensazione riservato ai paesi che si impegnano nello stabilire sistemi di asilo nazionali.

A fronte di queste misure da parte dell’ UE, i paesi di origine e di transito dei flussi migratori devono garantire l’assunzione di rilevanti impegni. Sono richiesti:

- il controllo effettivo delle frontiere e la riduzione dei flussi illegali verso l’ Europa, avvalendosi anche delle risorse, delle competenze e della tecnologia fornite dall’ UE.

- una maggiore cooperazione per i rimpatri degli immigrati irregolari, tramite la predisposizione di uffici di collegamento dell’ UE direttamente nei Paesi Africani, database e registri pubblici nonché l’ accettazione per i rimpatri di voli charter gestiti anche dai singoli Stati membri dell’ Ue.

- La gestione in loco dei flussi migratori, a partire dalla necessaria distinzione tra richiedenti asilo e migranti economici, accompagnata dall’ immediato trasferimento in Europa di chi merita la protezione internazionale.

- L’ applicazione di sistemi di asilo nazionali, che siano conformi agli standard internazionali, potendo beneficiare della consulenza di agenzie specializzate come l’ Unhcr e la Oim.

- Il rafforzamento della lotta ai trafficanti di esseri umani.

A beneficio del progetto importante esposto, di cui l’ Italia assume in questo momento la primogenitura, meritano di essere prese seriamente in considerazione alcune perplessità, autorevolmente avanzate da Paolo Magri, direttore dell’ Ispi, l’ Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, inerenti sia al profilo economico che a quello della fattibilità tecnica. Quanto al primo, i costì richiesti dall’ operazione sarebbero assai più elevati di quelli presi in considerazione dall’ Unione Europea con riferimento al capitolo degli aiuti all’ Africa. Sarebbero assolutamente insufficienti tre miliardi di dollari, stando a questa analisi, dovendo piuttosto farsi riferimento a decine di miliardi di euro. Relativamente all’ altro aspetto, quello della fattibilità tecnica, viene osservato che i Paesi del continente africano sono quelli ai quali come Europa, negli ultimi 50 o 60 anni, abbiamo destinato i maggiori aiuti. Nonostante tali sforzi, l’ area dei Paesi africani di provenienza e di transito dei flussi migratori rimane tra le più sottosviluppate al mondo. Ciò deve indurre la politica europea ad interrogarsi rispetto all’ effettiva sussistenza, pur in presenza di risorse economiche, di competenze tali da consentire il conseguimento delle finalità del progetto medesimo.

Immigrazione, un problema europeo senza unꞌ unica strategia

Le normative europee adottate da parte delle istituzioni europee negli ultimi decenni mostrano chiaramente come l’obiettivo finale sia quello di armonizzare tutti i sistemi giuridici dei diversi stati membri del mercato unico europeo all’interno di un insieme di regole condivise. Le difficoltà nell’attuazione di questo progetto non sono però solo di tipo o tecnico o giuridico. I principali ostacoli sono invece rappresentati da un fattore strettamente culturale. E più precisamente di cultura politica.

La frattura più profonda nell’accettazione delle direttive comunitarie è rappresentata tra l’Est e l’Ovest del continente europeo. Le popolazioni dei Paesi che si trovavano sotto la cortina di ferro stanno mostrando di avere a cuore concetti, idee e sogni che nell’Europa occidentale sono invece passati in secondo piano per diverso tempo. Il primo di questi concetti è quello di sovranità. Ascoltando un qualsiasi discorso delle massime cariche statali ungheresi, polacche e slovacche (sia che si identifichino nella destra o nella sinistra) è subito evidente come tale concetto venga indicato costantemente come l’elemento fondante dell’inserimento dei propri Paesi all’interno del nuovo mondo globalizzato. La sovranità è considerata la più preziosa conquista ottenuta con la caduta del Moro di Berlino e nessuno di loro sembra intenzionato a rinunciarvi in maniera tale cedere la propria capacità decisionale in materia migratoria alla Ue.

Un secondo ma non meno centrale concetto è quello dell’identità. Le popolazioni che sottostarono al comunismo per decenni si sono ribellate contro di esso per “riappropriarsi del proprio destino” e di “riscoprire la propria cultura”. L’immigrazione viene vista e presentata come una forma di attacco alle riconquistate identità, come uno strumento attraverso cui i poteri transnazionali attaccano la propria comunità.

Questa componente sovranista e identitaria delle zone mitteleuropee ha messo in scacco tutto il processo di integrazione europea. Le istituzioni comunitarie sembrano avere sottovalutato l’importanza che questi temi hanno aldilà dell’ormai estinta cortina di ferro. Così facendo hanno tentato di promuovere politiche condivise vissute però come imposizioni che hanno condotto a reazioni che hanno messo in scacco l’intera tenuta dell’area Schengen e di tutta l’Europa. L’immigrazione e soprattutto l’idea di gestione che le istituzioni europee hanno finora avuto di questo fenomeno rischiano dunque di creare una spaccatura così profonda da impedire la continuazione di ogni processo comunitario.

Resta però una necessità insormontabile: quello dei migranti è un fenomeno che porta con sé problemi tali da necessitare una risposta comune. Come comune dovrebbe essere la cultura europea che affronti questa emergenza. Una tale cultura, però, non esiste ancora. Almeno fino ad oggi.

Un bilancio possibile

La presa di posizione del nostro paese, mediante la proposta in esame, è orientata all’ elaborazione di una strategia che intende finalmente dare impulso ad una soluzione politica europea di un fenomeno avente portata europea. Appare ben ponderata e rispondente ad un’ esigenza meritevole di essere soddisfatta la scelta di porre al centro del progetto la dimensione esterna della politica migratoria europea. Questa opzione si inserisce in un contesto più ampio di proposte provenienti da altri Paesi, fatte proprie dalla Commissione ed appoggiate con convinzione dall’ Italia, quali sono l’ istituzione di una Guardia di Frontiera e Costiera Europea, le comunicazioni “Back to Schengen”e quelle più in generale relative alla Riforma del sistema di Dublino. Il proposito politico sembra essere dunque quello di integrare, attraverso le misure esposte, una possibile piattaforma programmatica rendendola maggiormente solida e dunque di sistema piuttosto che emergenziale. Anche se il documento italiano non dovesse integralmente essere recepito è auspicabile che sia salvaguardato, proprio in considerazione dei valori messi in luce nel “migration compact”, un piano di politiche migratorie europeo in grado di contemperare in modo equilibrato necessariamente due pilastri complementari: la dimensione interna all’ UE e la dimensione esterna all’ UE. Per occuparsi di quella esterna sarebbe necessario lo sviluppo di una politica estera comune, che si fondi sui valori condivisi dal Portogallo ai Paesi baltici. In caso di assenza di essi, come gli avvenimenti odierni sembrano dimostrare, risulta difficile stabilire delle strategie di azione comune sul piano internazionale. Sembra dunque indispensabile che l’Europa, per essere tale a livello globale, debba guardare al proprio interno e metabolizzare una storia ancora troppo contraddittoria. Che l’immigrazione sta rendendo più attuale che mai.

www.rivistaparadox.it/archivio/rivista-n-3-ma...