Cina, il vescovo “clandestino”: seguiamo il Papa, ci fidiamo del Signore

Cina, il vescovo “clandestino”: seguiamo il Papa, ci fidiamo del Signore

Parla Giuseppe Wei, voce autorevole della Chiesa cinese “sotterranea”: «Chiedo agli amici di Hong Kong, Macao, Taiwan: non abbiate la pretesa di parlare al nostro posto»

Il vescovo “clandestino” Giuseppe Wei mentre offre la comunione ad un malato

16/02/2018

Lui, con la sua comunità, seguirà il Papa e la Santa Sede, «comunque vadano a finire le relazioni tra Cina e Vaticano». E fin da adesso, invita tutti gli “amici” di Hong Kong, Macao, Taiwan e di altri posti sparsi nel mondo a mettere da parte la «pretesa di parlare al nostro posto, di parlare a nome della Chiesa clandestina», perché «nella realtà attuale della Repubblica popolare cinese, nessuno può dire di rappresentare la Chiesa clandestina».

Nella “tempesta mediatica” di questi giorni, alla quale non sono aliene anche motivazioni politiche e che rilancia le campagne orchestrate da alcuni gruppi a Hong Kong e in alcuni settori dell’Occidente contro una possibile svolta dei rapporti tra Cina popolare e Vaticano, le parole di Giuseppe Wei Jingyi, vescovo cattolico della diocesi di Qiqihar, nella provincia nord-orientale dell’Heilongjiang, meritano un ascolto particolare. Perché arrivano dalla Cina. E per l’autorevolezza di chi le pronuncia, a viso aperto.

Giuseppe Wei Jingyi, classe 1958 nato a Baoding, è una delle figure più rilevanti e rispettate della cosiddetta area “clandestina” della Chiesa cattolica presente in Cina. Anche adesso gli apparati del governo cinese non riconoscono la sua ordinazione episcopale. A 31 anni, egli era presente come giovane sacerdote - con compiti non marginali – nella riunione che una ventina di personalità, vescovi “clandestini” o loro delegati, tenne nel novembre 1989, nel piccolo villaggio di Zhangerce, nella provincia centro-settentrionale di Shaanxi, con l’intenzione di dare vita alla Conferenza episcopale cinese che operasse fuori dal controllo del governo.

Wei, consacrato vescovo segretamente nel giugno 1995, ha vissuto in passato tre periodi di detenzione e di restrizione delle libertà personali, il più lungo dei quali, scattato dopo la “riunione segreta” di Zhangerce, è durato oltre due anni, dal settembre 1990 al dicembre 1992. Anche per questo, oggi, le sue parole suonano quanto mai eloquenti e impegnative.



Vescovo Wei, c’è grande attenzione e anche strane iniziative riguardo alla situazione presente e futura della Chiesa cattolica in Cina...

«Da fine gennaio, quando sono iniziate le indiscrezioni su un possibile sviluppo nei rapporti tra la Cina e il Vaticano, sono seguiti tantissimi resoconti, commenti, analisi e ipotesi su tale questione. A sentire quello che viene diffuso sui media, ci sono quelli delusi e ce ne sono altri emozionati. Ci sono anche quelli che parlano a nome della comunità “clandestina”, e alzano la voce dicendo di doverla difendere dalle ingiustizie. Dicono che la Chiesa clandestina in Cina è la “vittima” del Papa e della Curia romana nel processo per migliorare le relazioni tra governo cinese e Vaticano».



E lei, vescovo Wei, come guarda a tutto questo?

«Io sono un vescovo della comunità clandestina della Chiesa cattolica nel Continente cinese. Esprimo la mia gratitudine per chi si interessa di noi e ci ha aiutato in tutti i modi. Ma voglio anche dire a tutti che la Cina è immensa, che la condizione della Chiesa varia da luogo a luogo, e questo vale soprattutto per la Chiesa clandestina. Quindi, voglio chiedere agli amici fuori della Cina continentale, inclusi quelli di Hong Kong, Macao, Taiwan e tutti gli altri sparsi nei vari continenti, pregandoli con tutto il cuore: per favore, non parlate a nome nostro, non abbiate la pretesa di parlare al nostro posto, di parlare a nome della Chiesa clandestina. Ve lo chiedo perché non siete voi a poter rappresentare la Chiesa clandestina che è in Cina».



Alcuni presentano l’area ecclesiale “clandestina” come una realtà preoccupata o perfino ostile davanti alla possibilità di una intesa tra Pechino e la Santa Sede. Le cose stanno così?

«Nella realtà attuale della Repubblica popolare cinese, nessuno può dire di rappresentare la Chiesa clandestina. Se qualcuno ha ricevuto da una comunità particolare o da una singola persona la richiesta di diffondere messaggi a nome loro, dichiari apertamente che lui parla a nome e per conto di quella determinata comunità o di quella singola persona, e di nessun altro. Io stesso non voglio essere “rappresentato” da qualcun altro, senza essere nemmeno informato. E seguendo quello che mi suggerisce la fede, a nome mio e della comunità affidata da Dio alla mia cura pastorale, voglio dichiarare solennemente: comunque vadano a finire le relazioni tra Cina e Vaticano, noi obbediremo totalmente alla decisione del Papa e della Santa Sede, qualsiasi essa sia. E non chiederemo nemmeno il perché».



Su che cosa è fondata questa fiducia? È solo rispetto per le decisioni dell’autorità ecclesiastica?

«Quando Abramo fu chiamato da Dio, le condizioni intorno a lui erano aspre e sfavorevoli. Abramo non ha chiesto a Dio di cambiare le situazione, prima di muoversi. Abramo ha solo avuto fede in Dio, nel suo Dio, che lo aveva chiamato. Si è affidato a Dio senza esitare. Quando Dio ha chiamato me, i seminari in Cina non erano ancora stati riaperti. Ma Dio mi ha dato la Sua luce. Mi ha fatto intravedere anche quale poteva essere il futuro della Chiesa in Cina. Quando ho fatto la richiesta per entrare nel seminario appena aperto, mi hanno detto che dovevo fare un esame di ammissione. Ho preparato un testo di presentazione con questo titolo: “Se la fine di un duro inverno è arrivata, potrà mai la primavera essere lontana?”».



E adesso?

«Ora dobbiamo guardare al tempo presente. La situazione attorno a noi non è ottimale, tutt’altro, e questo fa preoccupare tante persone. Ma anche adesso il nostro aiuto viene dal Signore. È Lui che ha creato il cielo e la terra e tutto l’universo. La nostra speranza è tutta affidata al Signore. È solo Lui che la custodirà. Sarà Lui che non ci farà provare vergogna di noi stessi. Per questo le parole del cardinale Parolin, che ho potuto leggere, mi hanno molto incoraggiato».

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Cosa, in particolare, l’ha confortata di quelle parole?

«Da tanto tempo noi della Chiesa in Cina sapevamo solo che la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese stanno trattando per superare le distanze. Ma le trattative erano riservate, e non avevamo modo di valutare quali criteri stavano ispirando il dialogo. Anche per questo trovavano spazio le voci di chi diffondeva preoccupazione intorno al possibile accordo. Le risposte di Parolin ci hanno confermato che non hanno fondamento le tesi di chi sostiene che un accordo finirà per contraddire i princìpi cattolici. Il Papa non è un politico. I collaboratori del Papa non si muovono seguendo criteri politici. Tutto il loro impegno è animato e illuminato dalla fede. E la fede alimenta anche il desiderio che tutte le pecore ritornino all’unità nello stesso gregge, sotto lo stesso pastore. Questo è il compito del Papa: custodire la comunione nella Chiesa».



Si riferisce anche ai vescovi ordinati in maniera illegittima?

«Tra i 7 vescovi illegittimi ce ne sono alcuni scomunicati, e qualcuno di loro ha fatto delle cose non buone. Qualcuno si può chiedere: sono ancora degni e in grado di guidare le comunità come vescovi? Il mio modo di guardare le cose è questo: noi sappiamo che il Papa è un padre, e i vescovi illegittimi sono come il figliol prodigo, hanno commesso degli sbagli e sono andati via da casa. Quando il figlio si pente, e chiede di ritornare dal padre, potranno forse esserci dei motivi per cui il padre gli rifiuta il perdono? Al contrario, il padre aspettava da tempo il suo ritorno».



C’è chi dice che un conto è la misericordia per la persona, un conto è riaffidare l’esercizio del ministero episcopale...

«Ma se il Papa dice che possono fare i vescovi, allora loro possono fare i vescovi. Una volta ritornati a casa, possono vivere come parte della famiglia. Dobbiamo aiutarci, incoraggiarci, amarci e andare avanti insieme. Tutto questo mi fa ricordare quello che nel Vangelo Gesù dice alla donna adultera: “Donna, nessuno ti condanna? Allora neanch’io ti condanno. Va’, e non peccare più”. E mi ricordo anche di un’altra frase di Gesù: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”».



Cosa succede se le cose cambiano, se una delle parti non mantiene i suoi impegni?

«Per trovare un accordo occorre sempre fidarsi un po’ dell’altro. Se non ci fosse un po’ di fiducia reciproca, non ci sarebbe neanche la possibilità di parlare, e non si arriverebbe mai a nessun accordo. La Santa Sede ha come obiettivo la propagazione della fede in Cristo, mentre il governo cinese ha altri obiettivi. La Santa Sede è seria e non ha niente da nascondere, quando parla con gli Stati. Ma anche la Cina è una grande nazione, che sa onorare gli accordi presi. Noi cristiani sappiamo che è possibile fidarci degli uomini. E ci fidiamo soprattutto del Signore. È lui che guida tutte le cose».

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